Scenari post Brexit, relazioni bilaterali tra Italia e UK

l'Isttuto (ICPE) Dr. Gianni Lattanzio  porge il benvenuto all'Ambasciatrice  Britannica S.E. JILL MORRIS e a Tutti nella Sala di Santa Maria in Aquiro del Senato della Repubblica

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 Benvenuti a Tutti nella Sala di Santa Maria in Aquiro del Senato della Repubblica, ( U.K.). Saluto calorosamente la presenza dell’Ambasciatrice SE Jill Morris che terrà la relazione e tutti i rappresentanti del corpo diplomatico qui presenti.

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Abbiamo da poco celebrato i 60 anni dei Trattati di Roma che hanno dato vita alla Comunità Economica Europea e alla Comunità europea dell’energia atomica. Abbiamo celebrato l’avvio e i successi di 60 anni di integrazione europea, anche se la Brexit, che il popolo Britannico ha votato l’anno scorso, ha posto degli interrogativi.

L’esperienza della CECA aveva rappresentato il modello da cui partire, con qualche aggiustamento. La sentenza Van Gend &Loos della Corte di Giustizia ha affermato che i Trattati di Roma del 1957 hanno dato vita a un ordinamento di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, un ordinamento cioè in cui i soggetti, potremmo dire i protagonisti, non sono soltanto gli Stati membri ma anche le istituzioni e i singoli, cittadini e imprese. Un ordinamento di nuovo genere anche per l’effetto diretto delle norme comunitarie, il che comporta che un privato può rivolgersi al proprio giudice nazionale per far valere i diritti che l’ordinamento dell’Unione europea gli riconosce. Un ordinamento di nuovo genere anche per il contributo che la Corte di Giustizia ha dato alla sua costruzione. Insomma, il modello dell’Unione europea costituisce un unicum nel panorama delle organizzazioni internazionali. Per molti studiosi il processo di integrazione è un processo irreversibile e il recesso di uno Stato membro, sempre considerato possibile, e disciplinato dai Trattati (dopo Lisbona), era considerato finora un’ipotesi teorica più che una possibilità reale e concreta. Gli Stati membri sono i soggetti che hanno dato il primo impulso alla costruzione delle prime

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Comunità e dell’Unione e che restano i principali attori del processo di integrazione con tutto ciò che comporta nel bene e nel male. ( U.K.). Certamente il primo obiettivo era la costruzione del mercato comune, o mercato unico o mercato interno, ma fu chiaro sin dall’inizio che il funzionalismo portava ad obiettivi che sarebbero andati oltre l’integrazione economica. La solidarietà di interessi economici era il punto da cui partire e, forse, per qualche Stato membro era anche quanto bastava a soddisfare le proprie aspettative nazionali. In ogni caso il processo di integrazione ha costituito un’attrattiva per molti altri Stati nel corso degli anni, come dimostrano i successivi allargamenti. I due principi cardine su cui poggiava l’integrazione erano l’unità e l’uniformità. Il primo è stato sempre difeso (ne è la prova il fatto che se un Trattato di riforma non riceve tutte le ratifiche di tutti li Stati membri non può entrare in vigore, come è accaduto alla Costituzione europea..). All’uniformità, invece, gli Stati membri hanno dovuto rinunciare ben presto concedendo margini sempre più ampi di flessibilità, pena l’immobilismo e la paralisi del processo di integrazione. Come sappiamo, il Regno Unito è uno degli Stati membri che più ha beneficiato della flessibilità e di meccanismi di opting-out. Ora l’unità sembra essere messa in crisi dalla brexit e dalle sue ripercussioni. I negoziati per il recesso dall’Unione sono in corso, dopo la lettera del Primo Ministro May del 29 marzo scorso, e il processo sembra complesso per molti aspetti oltre che problematico. L’art. 50 del Trattato di Lisbona, che stabilisce le procedure nel caso in cui uno Stato membro voglia lasciare l’Unione Europea, non è stato mai attivato per cui non abbiamo rotte sicure ma solo la bussola del buon senso che non è poco! Si profilano due ipotesi: una brexit hard e una soft. La flessione dei conservatori alle recenti elezioni dovrebbe escludere una hard brexit ma lo scenario è aperto, consapevoli, comunque, che il motto  «meglio nessun accordo che un cattivo accordo» non è più un pericolo concreto.

Rimangono aperti molti interrogativi sia per i britannici che per gli altri cittadini dell’Ue, tra questi mi permetto di segnalare i temi dell’accesso al mercato unico e quelli della libera circolazione delle persone. Quest’ultimo è un tema che sta molto a cuore ai giovani, sia italiani che britannici. Poi, per quanto concerne l’Italia sappiamo bene che l’uscita dall’Ue non dovrà incrinare gli ottimi rapporti tra i due Paesi, testimoniati anche da una lunga storia di emigrazione italiana nel Regno Unito. Però, oggi la Comunità italiana d’oltremanica è molto preoccupata. Hanno bisogno di rassicurazioni sia le prime generazioni, giunte nel dopoguerra, che i giovani che hanno deciso di andare a vivere soprattutto a Londra per le opportunità offerte dal mondo del lavoro in quel contesto. Essi, pensando di vivere all’interno dell’Ue, come cittadini europei, non hanno chiesto la cittadinanza inglese.

A queste persone, e non solo ai mercati, dobbiamo delle risposte, certamente nel rispetto delle scelte democratiche compiute, ma anche nel rispetto reciproco come Paesi amici. Anche per questo motivo oggi siamo qui per ascoltare S.E. Jill Morris che ringrazio vivamente per quello che vorrà dirci.


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